“Quella volta che incontrai uno straniero alto e bruno!” Seconda puntata – “Dirlo o non dirlo?”

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“Ciao!”
Ecco, ero partita già malissimo. Perché non gli avevo detto “ciao amore”, come sempre? “Se ne sarà accorto?” pensai, scrutando nei suoi begli occhi grigi e cercando disperatamente di avere un’aria rilassata e normale. Giacomo stava lì in piedi e sorrideva. Subito rivolse lo sguardo con aria interrogativa verso Francesco. Aveva già un’aria sospettosa o stavo ingigantendo tutto con la mia colpevolissima immaginazione?
“Ciao, io sono Giacomo.”
“Piacere, Francesco.”
Silenzio.
“Sai? Francesco è il cugino di Marta!” intervenni con brio, forse con un po’ troppo brio. “Era qui in Sardegna, perché sai…beh…fa il professore… aveva un convegno a Sassari e ha deciso di allungare con un week end al mare…e insomma…ha chiamato Marta e…eccolo qui!”
Silenzio. Ancora non avevo presentato Giacomo come il mio fidanzato. Una parte di me non voleva che si sapesse. Era folle! Giacomo non lo diceva e io stavo zitta nella puerile speranza che la cosa non uscisse mai fuori. Per una frazione di secondo ebbi la tentazione di non dirlo mai. Già immaginavo come avrei fatto, destreggiandomi con le parole tipo equilibrista, non standogli appiccicata e non baciandolo – figuriamoci! – in sua presenza, per due giorni…uhm…due giorni… Forse ce l’avrei fatta! Forse avrebbe pensato che Giacomo fosse solo un amico, magari un amico che ci provava con me… beh, era plausibile, la cosa poteva riuscire. Poi avrei deciso con calma il da farsi in base agli sviluppi…
“Ma sei completamente pazza?”
La mia vocina buona si era fatta sentire.
“Che vuoi?” l’apostrofai sgarbatamente. Poi non potei continuare la conversazione perché Giacomo si stava avvicinando con la chiara intenzione di darmi un bacio. Oddio! Mi alzai di colpo.
“Facciamo un caffè?” dissi, e mi diressi a passo spedito dentro casa senza aspettare una risposta.
“Magari, grazie!”
La voce di Francesco mi arrivò che già stavo svuotando la caffettiera e la stavo riempiendo di nuovo.
“Giacomo scusa, verresti un attimo ad aiutarmi?” dissi, col tono più neutro possibile. Non certo il tono che si ha col fidanzato. O forse sì, dipende dalla fase del fidanzamento. I pensieri mi galoppavano in testa mentre il mio corpo andava per i fatti suoi, articolando ragionamenti insensati.
Giacomo entrò dentro. A quel punto, un orrendo senso di colpa e un accenno di nausea alla bocca dello stomaco mi fecero rabbrividire. Lo guardai e inorridii di me stessa. Io amavo Giacomo, lo amavo veramente! E lo baciai abbracciandolo forte. Lui mi scostò un po’ per guardarmi negli occhi.
“Ehi, che succede?”, mi disse con aria dolce “Stai bene?”
“Si” gli risposi, “mi mancavi…”
Che caspita stavo facendo? E che diavolo stavo dicendo? Urgeva un colloquio privato e molto severo con me stessa. Dovevo andare in camera mia, chiudermi a chiave e calmarmi, calmarmi, calmarmi, senza essere disturbata da nessuno. “Così magari ti sistemi un po’ che ne hai bisogno” aggiunse la mia vocina cattiva. “Tu taci!”, le risposi zittendola all’istante. Però aveva ragione in pieno. Ordine fisico e mentale. Poi avrei visto tutto più chiaramente.
“Devo andare un attimo di sopra amore. Lo controlli tu il caffè? E intrattieni anche un po’ il cugino di Marta”.
Con calma e disinvoltura apparenti mi diressi di sopra. Girato l’angolo corsi su per le scale diretta in camera mia, da dove, con la finestra aperta si poteva sentire cosa succedeva di sotto. Non si poteva mai sapere.
Ed eccomi lì, davanti allo specchio che rimandava un’immagine da dimenticare. Mi fissai negli occhi e mi costrinsi a respirare. Da giù non veniva alcuna voce. O parlavano piano o stavano zitti. Il tiepido caldo di giugno e la leggera brezza estiva che mi portava su il profumo della bouganville, mi davano un senso di ebbrezza. Mi sentivo come l’eroina di qualche romanzo ottocentesco. Con l’anima travagliata e palpitante. Come mi sentivo viva in quel momento! Il sangue mi scorreva veloce per le vene ed ero in quello stato a causa di Francesco.
“Ora basta!”
Mi scossi con forza per uscire da quello stato irreale. “Veramente, basta così. Torna in te! Ok, è carino, ma tu stai con Giacomo, ricordi? Giacomo, che hai voluto disperatamente, che ami disperatamente, che quando ti aveva lasciato per 20 giorni, volevi ammazzarti, ricordi? Sveglia! Che ti sta succedendo?”
Non riuscivo a rispondere a me stessa. Non avevo idea di cosa mi stesse accadendo. Era la prima volta che provavo una sensazione del genere. Amare un uomo, tantissimo, tanto da non riuscire a immaginare la mia vita senza di lui, e contemporaneamente provare un’attrazione devastante per un altro. Attrazione che io sentivo anche ricambiata. Tutte le cavolate sul destino, sull’anima gemella, e chi più ne ha più ne metta, mi stavano assediando, circuendo e dovevo fare assolutamente qualcosa per poter tornare di sotto e riprendere in mano quell’assurda situazione.
“Dai”, continuai, cercando di convincermi, “lo sai che hai un’immaginazione un po’ troppo sviluppata alle volte, no?”
“Si” mi risposi consapevole. “E allora? Cosa pensi di fare? Agire in preda a non si sa che? Non è meglio ragionare? Quello, non sai neanche chi sia! Magari è fidanzato! Forse sposato, che ne sai?”.
Oh mamma mia, non ci avevo pensato. Era vero, poteva benissimo esserlo. E io ero lì, pronta a rovinare tutto col mio fidanzato adorato, per…cosa?
“No, la verità è che sei veramente pazza! Pazza! Capito?” mi urlai.
Si, avevo capito. Dopo essermi lavata, cambiata, truccata un po’ ma non troppo – che non pensasse che ero salita su per truccarmi! – ero pronta per scendere giù e vuotare il sacco.
Io stavo con Giacomo, amavo Giacomo e non gli avrei mai fatto una cosa del genere. Francesco l’avrebbe saputo perché gliel’avrei detto io stessa. Non appena avessi trovato la forza di affrontare il suo sguardo.
Scesi giù. Avrei detto “Amore? Tutto bene con il caffè?”, proprio davanti a Francesco e avrei baciato Giacomo. Un’ultima occhiata nel grande specchio in sala e mi sentii pronta. Uscii fuori sorridente e sicura di me cinguettando “Giacomo!”. Il cinguettio però mi si strozzò in gola perché mentre mi rendevo conto che non c’era nessuno, mi scontrai letteralmente con Francesco. Eravamo vicinissimi. Rimanemmo così.
“Pare che sia stato abbandonato di nuovo” mi disse a voce bassa mentre mi guardava negli occhi. “Giacomo è stato chiamato da Giovanni perché gli serviva una mano con la barca, a quanto pare…” Silenzio. E fu allora che, mentre eravamo occhi negli occhi, consapevoli di quello che stava accadendo tra noi, e le nostre mani stavano per toccarsi, “BOOOOOOM!!!”

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