Primo capitolo – “Un week end a Salinas”
Tutto ebbe inizio una mattina di giugno, a Salinas, un piccolo borgo di pescatori sulla costa Nord della Sardegna, proprio davanti all’isola Asinara. Ormai quel piccolo borgo era diventato una meta turistica molto frequentata ma aveva comunque mantenuto un certo fascino arcaico. Frequentavo Salinas da quando ero piccola. Avevamo una casa sul mare, una casa rosa con le persiane verdi che da anni era la meta delle nostre vacanze. In quel periodo avevo un fidanzato che adoravo, Massimiliano, chiamato da me e da tutti, tranne che da sua madre, Max, che viveva a Sassari e che mi portava a stare in Sardegna molto più tempo di quello che mi consentisse la mia attività di relazioni pubbliche a Roma. Non era ancora tempo di vacanze ma, come spesso accadeva, ero a Salinas e, quel fine settimana, mi aveva raggiunto anche il mio socio Renzo. Eravamo arrivati la sera precedente, tardissimo e, per il giorno dopo, il programma prevedeva mare, mare, mare e ancora mare. Quando la sveglia suonò ci misi una buona mezz’ora per aprire gli occhi. Avrei dormito almeno per altre tre ore ma non volevo per nessuna ragione perdermi neanche un secondo di quella che, a giudicare dal sole che filtrava dalle persiane, si preannunciava come una meravigliosa giornata. Mi alzai ancora assonnata con un unico pensiero in testa, caffè. Con gli occhi che non si decidevano ad aprirsi completamente uscii dalla mia camera. Sulle scale tornai indietro. Ok, Renzo era uno dei migliori amici ma forse non era il caso di scendere in giardino in pigiama, così mi misi al volo qualcosa di più decente e scesi le scale. Scesi, uscii fuori, e, seduto con il giornale in mano, intento nella lettura, c’era questa meraviglia del genere umano. Viso bellissimo e fisico perfetto. Ah., dimenticavo, aria ed espressione intelligente, che non è poco! Come misi un piede fuori, alzò la testa dal giornale e mi disse “ciao”. Io, tipo salame imbalsamato, ansimai qualcosa tipo “Ah, ciao ma ci conosciamo?” e rimasi impalata a bocca aperta con un sorriso melenso dipinto in faccia. Dopo qualche secondo mi accorsi del suddetto sorriso e cercai di ricomporre la faccia. Ma lo stupore mi pietrificava. Ad onore del vero, tutto era reso ancora più avvincente dal fatto che anche lui non sembrava indifferente, anzi! Corrispondenza totale.
Nell’aria erano sospesi i nostri reciproci pensieri. Qualcosa del tipo
Io: “E tu chi sei? Da dove sei sbucato? Oh mio Dio!! Ma cos’è, uno scherzo? Chi l’avrebbe mai detto che avrei trovato questo figo spaziale materializzatosi dalla notte alla mattina? Che ci fa questo sconosciuto a casa mia?”
Lui: “Ah, però, e questa chi è? Io pensavo che ci fossero solo Marta e Giovanni… però, però, però… Buongiorno bellezza… la giornata si prospetta interessante!”.
Ecco, a questo punto, per qualche frazione di secondo, mi si era fatto il buio nella mente. Sparito Max, spariti tutti, esisteva solo lui, l’attraente e affascinate sconosciuto che mi stava fissando ipnotizzato, l’inviato del destino! Ma come era possibile? Era bastato così poco per rimuovere tutto il resto? E così in fretta poi? Sentivo una serie di brividi di freddo lungo la schiena e perdevo sempre più la padronanza del mio viso anche se in quel frangente sarei dovuta essere, al contrario, sia per mia tutela che per tutela del mio fidanzato, super padrona di me stessa per simulare e ostentare un’ inesistente indifferenza rispetto alla COSA che stava succedendo.
Eravamo lì, faccia a faccia. Feci uno sforzo disumano per riprendermi. Un rapido controllino mentale su come mi ero combinata e il risultato fu angosciante. Mi stavo guardando dall’esterno con l’occhio implacabile di chi si rende conto che farebbe meglio a sgattaiolare di sopra con una scusa qualsiasi, rimettersi a posto, e scendere per ricominciare tutto da capo. Ok, sono una ragazza carina. Sfido però chiunque a trovarsi solo minimamente decente nelle mie condizioni, vale a dire appena alzata dal letto. Quindi, non solo senza un filo di trucco ma con la faccia stropicciata che iniziava appena a ritendersi. Vestita… vestita? Oibò no! Non ero proprio vestita, ero coperta da uno straccetto nero che ormai si poteva definire vintage che tenevo nella casa al mare per stare comoda. E i capelli? Orrore degli orrori! Un groviglio tenuto su da una pinza. E non mi ero neanche fatta la doccia. Oddio! Insomma, il mio rapido controllino aveva avuto esito totalmente negativo. Lui però non sembrava tanto devastato dalla visuale davanti ai suoi occhi.
“Ciao”, risposi, mentre distrattamente tiravo via la pinza dai capelli e cercavo di sistemarmeli con le dita. Mi fermai all’improvviso. Oh no! Mi ero dimenticata che è una di quelle cose da non fare MAI. Intendo dire passarsi la mano tra i capelli se c’è uno che ti piace. Insomma, se lo fai è chiaro che ti piace. “Se ne sarà accorto?” pensai, mentre lo guardavo senza distendere il sorriso che ormai mi stava paralizzando la faccia.
“Io sono Alessandro..”
Continuavo a guardarlo negli occhi. Un po’ perché non riuscivo a farne a meno e un po’ perché catalizzando il suo sguardo sui miei occhi, forse si sarebbe distratto dal resto di me. “Sono il cugino di Marta”, continuò con un irresistibile sguardo ironico.
Come sarebbe a dire il cugino di Marta? Mai visto né conosciuto prima d’allora. Per un attimo mi sentii totalmente ingannata dalla ragazza di mio fratello che mi aveva tenuto all’oscuro per anni dell’esistenza di costui.
Ieri notte non c’era e nessuno mi ha avvertito che sarebbe venuto a Salinas! Pensavo freneticamente. “Com’è che adesso è qui che si legge il giornale? Ma perché nessuno mi avverte delle cose importanti che succedono sotto il mio tetto?”.
“Forse perché la visita del cugino non è considerata una cosa importante”, mi risposi subito.
“Mi spiace per l’improvvisata ma ero già a Sassari. Ho chiamato Marta, loro erano qui e mi hanno detto di venire”.
Ah ecco! Mi sembrava strano! Era successo tutto la mattina stessa. “Però, neanche fosse Natale!” pensai con un certo entusiasmo.
Alessandro era alto, bruno, viso bello dai tratti prettamente maschili, bei denti, leggera abbronzatura, fisico atletico, aria ironica nello sguardo…
”Ci deve essere una pecca..” pensai, mentre mi presentavo a mia volta “Sono Linda, la sorella di Giovanni”.
“Piacere”. Le nostre mani si strinsero per qualche secondo. Che brivido! Ma torniamo alla pecca. Doveva esserci assolutamente qualcosa che non quadrava in tanta apparente magnificenza. Ma cosa? Forse non era molto intelligente, forse faceva qualcosa che mi avrebbe deluso, forse era gay! Ecco, gay no. No, no. Non mi sembrava proprio. Anzi! Vabbè. Investigai un po’. Magari mi avrebbe rivelato qualcosa che l’avrebbe fatto scendere ai miei occhi. Forse aveva solo la quinta elementare o giù di lì o faceva un lavoro improbabile tipo operatore ecologico… con tutto il rispetto, ma insomma… Cercavo disperatamente qualcosa che non mi piacesse in lui.
“Ma non è sceso ancora nessuno? Ti hanno abbandonato qui? Vuoi fare colazione?”, gli chiesi. Lui rise. Una risata dal timbro profondo e chiaro. Ero messa male. Mi piaceva anche la risata.
“No, non mi hanno abbandonato. Sono andati a prendere cornetti e paste per la colazione”.
“Ah ecco..”.
Intanto avevo guadagnato la sedia e mi ci lasciai cadere con nonchalance. Lo sguardo esterno mi stava facendo impazzire. Mi sentivo tutt’altro che seduttiva. Accidenti. Se mi avessero chiesto di disegnarmi in quel momento avrei scarabocchiato un calimero dallo sguardo terrorizzato. Non mi sentivo attrezzata per fronteggiare il bel tenebroso ma feci finta di niente.
“Sei di Sassari?” azzardai.
“No. Sono di Roma ma ero qui per lavoro” rispose, piegando il giornale e appoggiandolo sul tavolo.
“Di Roma? Ma come? Anche io vivevo a Roma. E allora? Viveva a Roma come altre due milioni e mezzo di persone!”. Perché mi sentivo come se Roma, e di conseguenza ogni suo abitante, fossero una mia proprietà privata?
“Lavoro? Di cosa ti occupi? Come mai a Sassari?” Eccoci qui. Adesso forse mi avrebbe rivelato qualcosa di assolutamente inaccettabile che avrebbe rotto quella specie di incantesimo. Esitò un attimo prima di rispondere. La cosa mi parve un buon segno. Poi se ne uscì con “Ieri c’era un convegno all’università e ho deciso di aggiungere il week end all’ultimo momento”.
Quindi? Aveva seguito un convegno? Certo! Era ancora all’Università. Studiava. Alla sua età? Sarà stato sui trent’anni. Ecco la pecca. Piccola, ma c’era. A trent’anni suonati ancora sui banchi di scuola, o giù di lì. Cercavo di visualizzarlo con un grembiulone blu con fiocco. “In che facoltà sei iscritto?”, gli chiesi, sentendomi appena più sicura di me.
“Veramente mi sono già laureato da un pezzo. Vedi, il convegno lo tenevo io… insegno diritto all’Università”. Una bomba avrebbe fatto meno effetto. Questo era troppo. Era un professore! E quando aveva iniziato? All’asilo?
Lo fissavo senza fiato. Questo era il mio uomo ideale! E mentre mi crogiolavo al pensiero, il mio uomo reale irruppe nella scena. “Disturbo?”. Ci voltammo all’unisono. Max era in piedi e ci stava fissando.
“Ciao!”. Ecco, ero partita già malissimo. Perché non gli avevo detto “ciao amore”, come sempre? “Se ne sarà accorto?”, pensai, scrutando nei suoi begli occhi grigi e cercando disperatamente di avere un’aria rilassata e normale.
Max stava lì in piedi, sorrideva. Subito rivolse lo sguardo con aria interrogativa verso Alessandro. Aveva già un’aria sospettosa o stavo ingigantendo tutto con la mia colpevolissima immaginazione?
“Ciao, Max”
“Piacere, Alessandro”.
Silenzio.
“Sai? Alessandro è il cugino di Marta!”, intervenni con brio, forse un po’ troppo brio. “Era qui in Sardegna, perché sai… beh… fa il professore… aveva un convegno a Sassari e ha deciso di allungare con un week end al mare e insomma… ha chiamato Marta e… eccolo qui!”.
Silenzio.
Ancora non avevo presentato Max come il mio fidanzato. Una parte di me non voleva che si sapesse. Era folle! Max non lo diceva e io stavo zitta nella puerile speranza che la cosa non uscisse mai fuori. Per una frazione di secondo ebbi la tentazione di non dirlo mai. Già immaginavo come avrei fatto, destreggiandomi con le parole tipo equilibrista, non standogli appiccicata e non baciandolo – figuriamoci! – in sua presenza, per due giorni… uhm… due giorni… Forse ce l’avrei fatta! Forse avrebbe pensato che Max fosse solo un amico, magari un amico che ci provava con me… beh, era plausibile, la cosa poteva riuscire. Poi avrei deciso con calma il da farsi in base agli sviluppi…
“Ma sei completamente pazza?”. La mia vocina buona si era fatta sentire.
“Che vuoi?”, l’apostrofai sgarbatamente. Poi non potei continuare la conversazione perché Max si stava avvicinando con la chiara intenzione di darmi un bacio. Oddio! Mi alzai di colpo.
“Facciamo un caffè?” dissi, e mi diressi a passo spedito dentro la cucina senza aspettare una risposta. “Magari, grazie!” la voce di Alessandro mi arrivò che già stavo svuotando la caffettiera e la stavo riempiendo di nuovo. “Max scusa, verresti un attimo ad aiutarmi?” dissi, col tono più neutro possibile. Non certo il tono che si ha col fidanzato. O forse sì, dipende dalla fase del fidanzamento. I pensieri mi galoppavano in testa mentre il mio corpo andava per i fatti suoi, articolando ragionamenti insensati.
Max entrò dentro. A quel punto, un orrendo senso di colpa e un accenno di nausea alla bocca dello stomaco mi fecero rabbrividire. Lo guardai e inorridii di me stessa. Io amavo Max, lo amavo veramente! E lo baciai abbracciandolo forte. Lui mi scostò un po’ per guardarmi negli occhi “Ehi, che succede?”, mi disse con aria dolce “Stai bene?”.
“Si”, gli risposi, “mi mancavi”.
Che caspita stavo facendo? E che diavolo stavo dicendo? Urgeva un colloquio privato e molto severo con me stessa. Dovevo andare in camera mia, chiudermi a chiave e calmarmi, calmarmi, calmarmi, senza essere disturbata da nessuno. “Così magari ti sistemi un po’ che ne hai bisogno” aggiunse la mia vocina cattiva. “Tu taci!”, le risposi zittendola all’istante. Però aveva ragione in pieno. Ordine fisico e mentale. Poi avrei visto tutto più chiaramente.
“Devo andare un attimo di sopra amore. Lo controlli tu il caffè? E intrattieni anche un po’ il cugino di Marta”. Con calma e disinvoltura apparenti mi diressi di sopra. Girato l’angolo, corsi su per le scale diretta in camera mia, da dove, con la finestra aperta si poteva sentire cosa succedeva di sotto. Non si poteva mai sapere.
Eccomi lì, davanti allo specchio che rimandava un’immagine da dimenticare. Mi fissai negli occhi e mi costrinsi a respirare. Da giù non veniva alcuna voce. O parlavano piano o stavano zitti. Il tiepido caldo di Giugno e la leggera brezza estiva che mi portava su il profumo della bouganville, mi davano un senso di ebbrezza. Mi sentivo come l’eroina di qualche romanzo ottocentesco. Con l’anima travagliata e palpitante. Come mi sentivo viva in quel momento! Il sangue mi scorreva veloce per le vene ed ero in quello stato a causa di Alessandro.
“Ora basta!”, mi scossi con forza per uscire da quello stato irreale. “Veramente, basta così. Torna in te! Ok, è carino, ma tu stai con Max, ricordi? Max, che hai voluto disperatamente, che ami disperatamente, che quando ti aveva lasciato per 20 giorni, volevi ammazzarti, ricordi? Sveglia! Che ti sta succedendo?”. Non riuscivo a rispondere a me stessa. Non avevo idea di cosa mi stesse succedendo. Era la prima volta che provavo una sensazione del genere. Amare un uomo, tantissimo, tanto da non riuscire a immaginare la mia vita senza di lui, e contemporaneamente provare un’attrazione devastante per un altro. Attrazione che io sentivo anche ricambiata. Tutte le cavolate sul destino, sull’anima gemella, e chi più ne ha più ne metta, mi stavano assediando, circuendo, e dovevo fare assolutamente qualcosa per poter tornare di sotto e riprendere in mano quell’assurda situazione. “Dai”, continuai, cercando di convincermi, “lo sai che hai un’immaginazione un po’ troppo sviluppata alle volte, no?”. “Si”, mi risposi consapevole “E allora? Cosa pensi di fare? Agire in preda a non si sa che? Non è meglio ragionare? Quello, non sai neanche chi sia! Magari è fidanzato! Forse sposato, che ne sai?”. Oh mamma mia, non ci avevo pensato. Era vero, poteva benissimo esserlo. E io ero lì pronta a rovinare tutto col mio fidanzato adorato, per cosa?
“No, la verità è che sei veramente pazza! Pazza! Capito?”, mi urlai. Si, avevo capito. Dopo essermi lavata, cambiata, truccata un po’ ma non troppo – che non pensasse che ero salita su per truccarmi! – ero pronta per scendere giù e vuotare il sacco.
Io stavo con Max, amavo Max e non gli avrei mai fatto una cosa del genere. Alessandro l’avrebbe saputo perché gliel’avrei detto io stessa. Non appena avessi trovato la forza di affrontare il suo sguardo.
Scesi giù. Avrei detto “Amore? Tutto bene con il caffè?”, proprio davanti a Alessandro e avrei baciato Max. Un’ultima occhiata nel grande specchio in sala e mi sentii pronta. Uscii fuori sorridente e sicura di me cinguettando “Max!”. Il cinguettio però mi si strozzò in gola perché mentre mi rendevo conto che non c’era nessuno, mi scontrai letteralmente con Alessandro. Eravamo vicinissimi. Rimanemmo così. “Pare che sia stato abbandonato di nuovo”, mi disse a voce bassa mentre mi guardava negli occhi. “Max è stato chiamato da Giovanni perché gli serviva una mano con la barca, a quanto pare”. Silenzio. E fu allora che, mentre eravamo occhi negli occhi, consapevoli di quello che stava accadendo tra noi, e le nostre mani stavano per toccarsi, “BOOOOOOM!!!”. Un rumore assordante, contornato da un tremendo odore di bruciato, interruppe il nostro idillio. Oh no! Era esplosa la caffettiera! Ritornando indietro, tipo rewind su un dvd, mi rividi intenta a preparare il caffè. Ma in quell’immagine c’era un particolare che mi sfuggiva, qualcosa di stonato. Certo! Ma che deficiente! In preda ai palpiti mi ero dimenticata di metterci l’acqua. “Aaah!”, urlai avvinghiandomi a lui. “Aaah!” fece lui di rimando. “Ma che è stato?”, chiese un po’ agitato, visto che non aveva una chiara visuale sulla cucina. Notavo intanto come la sua forte stretta non mi mollasse neanche per un secondo. Come mi sarebbe piaciuto poter dire qualcosa, tipo Rossella ‘O Hara, “Rett, stringimi, sono i cannoni dei nordisti …” e aspettare che mi baciasse, con l’incendio di Atlanta sullo sfondo. Invece dissi “È stata la caffettiera… Credo di essermi dimenticata di metterci l’acqua dentro ed è…”
“Esplosa”, concluse lui per me. Poi si staccò per andare a controllare lo scempio alle mie spalle. Degno finale. D’altronde anche Rett Butler aveva mollato Rossella da sola con Melania incinta, per andare tardivamente ad arruolarsi. “Ehi, il fornello è ancora acceso”, disse, prendendo in mano con decisione la situazione. Lo spense, prese uno straccio e della carta scottex e iniziò a ripulire tutto con una precisione incredibile. Trovò i pezzi sparsi dell’ordigno e li buttò nella spazzatura. Io lo guardavo incantata. Era proprio come se fosse a casa sua. Che era mia, quindi…
“Quindi hai fatto proprio la figura dell’idiota”, mi fece eco nella testa la vocina cattiva. Veramente? Che orrore. Forse era vero ma la verità era che non me ne importava proprio un bel niente. Guardavo Alessandro e mi sembrava che appartenesse a quella casa da sempre. “Tutto è bene quel che finisce bene!”, esclamai. Ma ero ben lungi dall’essere sicura che quel week end sarebbe finito bene. E, se sì, per chi sarebbe finito bene? Alessandro doveva aver visto un lampo allarmato nel mio sguardo. “Che succede? Tutto ok?”. “Si!”. Mi ripresi con decisione e, sempre per prendere tempo, presi una nuova caffettiera, gli schiacciai l’occhiolino con sguardo d’intesa mentre versavo dentro l’acqua, rimisi il caffè sul fuoco. A quanto pare mio fratello – bontà sua – ci avrebbe portato in barca.
Era frustrante avere una barca e non poterla usare a mio piacimento. Purtroppo, dovevo dipendere da miei fratelli. Che strazio! Lo so, lo so, nessuno mi aveva mai impedito di prendere la patente nautica. Avrei potuto benissimo prenderla, ben inteso, ma ci sono dei momenti cruciali, in cui si prendono delle decisioni importanti che possono condizionare il tuo futuro. Così, in un momento “x” della mia vita, abdicai per sempre al ruolo del capitano per abbracciare quello del passeggero. Il che, aveva dei notevoli lati positivi ma comportava anche il fatto di dover stare all’asciutto in una pazzesca giornata di sole, come quella di quel giorno, a meno che, un patentato di buon cuore, mosso a pietà, non avesse deciso di portarmi. E così fu. Per l’appunto, il patentato in questione, mio fratello Giovanni, stava varcando il cancelletto del giardino seguito da Renzo, il mio socio di Roma, Bibi e Vanni, una coppia di nostri vecchi amici e da Marta, la sua dolce metà. Ma dov’era Max? Ah sì, stava arrivando anche lui, un po’ scostato dal gruppo.
“Ah, che bella giornata!”, esclamò Renzo entrando e appoggiando un vassoio di paste e croissant sul tavolo. Poi, guardando dalla mia parte, lo vidi sospirare con aria sognante. Avevo già capito tutto. Renzo era il mio amico gay, nonché mio socio dell’agenzia di organizzazione eventi che avevamo a Roma, la B&B Associati, che stava, non per bed & breakfast, ma per Brand & Business. Sospirava, naturalmente, non alla mia vista ma a quella di Alessandro che era vicino a me sulla portafinestra della cucina tenendomi la mano intorno alla vita.
La mano intorno alla vita? Ma che caspita! Max stava entrando a sua volta. Feci appena in tempo a schizzare verso il tavolo ed ad afferrare il vassoio delle paste con la scusa di offrirle. Naturalmente, con grande coda di paglia, mi diressi subito da Max. “Vuoi una pasta? Il caffè è quasi pronto!”. Max, che, lo notavo solo allora, aveva le mani piene di oggetti che avevano riportato dalla barca, mi diede un’occhiataccia. “Non adesso. Ma non vedi che ho le mani impegnate? Dai spostati”, e senza degnare di un’occhiata il vassoio mi scansò per andare verso la casetta degli attrezzi. Ci rimasi male. In più avevo la brutta sensazione di strafare. Il mio stato d’agitazione e il mio senso di colpa erano così evidenti come me li sentivo io? “Vuoi una pasta amore!” Ecco cosa avrei dovuto dire! “Uffa, l’ho rifatto!” pensai con sconforto. Ma perché ero così debole? Dovevo assolutamente far arrivare a Alessandro il messaggio che Max era il mio fidanzato. Ogni secondo che passava non faceva che aggravare la mia situazione. Alessandro aveva già la mano intorno alla mia vita. Se non gli avessi detto come stavano le cose, la mia posizione, quando l’avesse scoperto – perché l’avrebbe scoperto – sarebbe stata quanto meno equivoca.
“Intanto pensiamo alla colazione. Una cosa per volta”.
Max era impegnato a sistemare quello che aveva portato nella casetta degli attrezzi così io avevo qualche attimo di respiro. Non è che dovessi dirlo subito, no? Così, tornai in cucina e portai fuori caffè, tazzine, zucchero e quant’altro servisse per la colazione. Cercavo di non guardare mai troppo Alessandro per paura che qualcuno si potesse accorgere di quello che mi stava succedendo. Lui si era seduto e chiacchierava amabilmente con tutti.
“Mamma mia!” Renzo mi aveva raggiunta in cucina mentre stavo preparando una nuova caffettiera. “Hai visto? Dico, hai visto?”. Dava l’impressione che gli occhi gli stessero per schizzare fuori dalle orbite. Era chiaro che alludesse all’ospite inatteso. Non riusciva a non ridacchiare. Sicuramente per il nervoso.
“Cosa?” gli risposi con aria innocente, mentre mettevo di nuovo la caffettiera sul fuoco. “Mi chiedi cosa? Proprio tu?” disse, mentre mi fissava incredulo. “Lindarè, ma famm’ ‘o piacere!”.
Renzo era di Napoli e nei momenti di coinvolgimento emotivo non riusciva a trattenere le tipiche espressioni dialettali che a me facevano molto ridere. Le diceva con una tale enfasi!
“Si, non male…” dissi per accontentarlo, “ti piace?” gli chiesi.
“A me sì”, sospirò Renzo, “ma il mio sesto senso mi dice che purtroppo lui non è dello stesso avviso”.
“Mi sa tanto di no”, risposi, e gli feci un occhiolino d’intesa.
Io e Renzo ci conoscevamo ormai da tanti anni e di me sapeva quasi tutto. Diciamo che era uno dei miei confidenti preferiti. Fare finta di niente con lui era perfettamente inutile. “Taci che mi è sceso un colpo quando sono scesa giù e me lo sono trovato davanti!” gli confessai, abbassando la voce.
“E ti credo!”, non poté fare a meno di dire.
“Comunque, anche a lui la sottoscritta non dispiace. Ma che non ti scappi niente con nessuno eh? Con nessuno, capito?”
“Lindarè, non ti preoccupare. Stai in una botte di ferro. Ma racconta, dai, dimmi, dimmi…”
“Che state confabulando voi due? Cos’è che non deve dire Renzo?”
Il tono distaccato e sarcastico di Max mi arrivò come una pugnalata alle spalle. Ci girammo e sulla porta della cucina Max mi guardava con aria fredda. Doveva aver fatto il giro della casa. Un brivido gelato mi attraversò la spina dorsale. Max era geloso ma non lo ammetteva e quindi metteva in atto delle rappresaglie poco simpatiche per sfogare la sua rabbia.
Conoscevo quel tono e devo dire che non mi sentivo per niente a mio agio. Ora il problema era… cosa aveva sentito esattamente?
“Max!” esclamai, “quando ti fermi un attimo che stamattina non ci siamo neanche salutati?” e così dicendo mi avvicinai a lui. Mi sollevai un pochino sulle punte dei piedi per baciarlo ma lui mi afferrò con una certa forza il braccio e mi tenne a distanza.
“Che c’è?” feci io, con un’aria un po’ scocciata.
“Che c’è?” mi rispose lui con un tono gelido, “lo chiedo a te: cosa c’è?”
Cercai di guardarlo con l’aria più innocente di questo mondo, sguardo tipo Bambi-davanti-al-cacciatore-che-sta-per-sparargli, ma lui non mollava la stretta e mi fissava con un’aria terribile.
“Ok.”
Pensai rapidamente a tutte le cose che avevo detto in sequenza. Poi, l’illuminazione. “È un segreto tra me e Renzo, dai…” partii attaccando lievemente.
“Tu mi nascondi qualcosa e non mi piaci per niente, in questo momento, hai capito?!”
Mamma mia. Era veramente alterato. Continuai con la mia strategia.
“Guarda che non è niente che ti riguardi e mi stai facendo male al braccio!”
Allentò la stretta e io presi coraggio. Passai quindi alle maniere morbide.
“Sei proprio un ficcanaso sai? E va bene, se ne fai una questione di vita o di morte te lo dico. Scusa Renzo, glielo dico, sennò si immagina scenari da soap opera di infimo livello”.
Mi girai verso Renzo che fino a quel momento era stato a guardare la scena senza osare fiatare. Gli lanciai un’occhiata come per dire “reggimi il gioco o ti ammazzo” e poi, proseguii dritta e sicura verso la meta. “Allora, il segreto è che quel ragazzo, come si chiama… ah, sì, Alessandro, beh, secondo Renzo è completamente gay e pare che ci abbia anche provato. Capito adesso? Gli stavo dicendo di tenersi tutto per sé visto che non mi sembra un argomento da pubblico dibattimento, tutto qui”.
Lo guardai fisso negli occhi con l’aria ingenua di quella anche un po’ seccata da tanta invadenza fuori luogo e aspettai. Tra pochi istanti avrei scoperto esattamente se avesse sentito tutta la conversazione oppure no. Max mi guardò, poi guardò Renzo, sempre con lo sguardo da sfinge e alla fine cambiò completamente espressione. “Ancora con queste storie? Renzo! Secondo te sono tutti gay!”
“Lui lo è, lo è!”
Renzo era entrato nel ruolo. “Dovevi vedere che sguardi mi lanciava… anzi, adesso ti racconto tutto e mi dici cosa ne pensi, eh?”
Che genio il mio amico! La minaccia di confessioni tra uomini era perfetta per Max che, infatti, come da copione bofonchiò qualcosa tipo “va beh, va beh, magari dopo”.
“Ok. Vado, controllo, getto ami e poi vediamo se non avevo ragione”, rispose Renzo e subito ne approfittò per svignarsela. Scoppiai in una risata liberatoria e finalmente salutai decentemente il mio fidanzato con un lungo bacio appassionato.
“Sei geloso allora”, gli sussurrai ancora abbracciata a lui.
“Geloso io? Ma figurati! È… è solo che conosco quel modo di fare che hai avuto da quando ti sei alzata e non mi piace. Le bugie non mi piacciono e neanche i sotterfugi”.
“Perché? Che comportamento ho avuto?”
Allora si vedeva così tanto?
“Sfuggente amore, sfuggente”.
Mi guardò ancora per un secondo con quello sguardo freddo e indagatore e sentii il solito brividino lungo la spina dorsale. Lo guardai meglio e capii che se l’avessi perso… No, non volevo neanche pensare lontanamente a una cosa del genere. Gli sorrisi, lo baciai e gli dissi con un sorrisetto “sarà, ma per me sei geloso”.
“Tutto bene qui?”
Marta, che secondo me, aveva già inquadrato la situazione, entrò con delle buste della spesa e le appoggiò sul tavolo.
“Bene, bene”, rispose Max poco convinto. Marta mi lanciò uno sguardo interrogativo.
“Su, dai, muovetevi che la barca è pronta, il tempo è fantastico ed è ora di andare. Dobbiamo portare delle cose per pranzo” disse, tirando fuori dalle buste della spesa un sacco di cose buonissime. Cose buonissime che io non avrei mangiato. Intanto non ero particolarmente abbronzata, quindi era da evitare accuratamente l’effetto pancia gonfia proprio davanti a uno come Alessandro. Dieta forzata. A oltranza.
“Avete bisogno d’aiuto qui? Sennò vado a preparare le borse”. Max sembrava tornato normale e il pericolo, per il momento, era passato.
“Tranquillo, tranquillo, vai a preparare che qui ci pensiamo noi” e sulle parole di Marta, Max si dileguò, non prima di avermi dato un bacio. Una volta a debita distanza iniziai a fissare Marta con aria disperata.
“Marta…” esordii. Marta era fantastica. Mi capiva al volo. Sapevo che in lei avrei trovato sempre comprensione, complicità e la certezza del silenzio assoluto, anche con mio fratello.
“Si?” disse, guardandomi con aria maliziosa. “Che stai combinando? Quella faccia non me la racconta… allora?”
Non risposi direttamente. Non sapevo neanche come articolare quello che mi passava per la testa. Dissi solo, “Ma chi è questo Alessandro? Tuo cugino? Ma da che parte? Non ne sapevo niente della sua esistenza! Come mai è qui?”
“Ahah!”
La risata di Marta era sintomo che mi aveva sgamata in pieno.
“Lo sapevo”, continuò tra le risate, “lo sapevo!”
“Sapevi cosa?” le risposi.
“È carino eh? Sorpresa, sorpresa!”
Iniziai a ridere anche io, più per il nervoso che per altro. Era ufficiale. La cosa mi aveva preso oltre misura. I sintomi c’erano tutti. Sentivo l’adrenalina che mi scorreva a fiumi nelle vene. Era tutto troppo divertente. Mentre ridevo, involontariamente guardai fuori, oltre i vetri socchiusi della porta finestra che dava sul giardino e lo vidi. Mi stava fissando con uno sguardo… uno sguardo che parlava da solo! Si accorse che l’avevo visto e l’espressione passò da quella di Mickey Rourke di “Nove settimane e mezzo”, scena dello strip per l’esattezza, ad una più innocua stile Hugh Grant in uno qualsiasi dei suoi film. Comunque, il succo non cambiava. L’avevo sorpreso! Ora sapevo. Gli piacevo! E non poco. Il cuore iniziava a saltare togliendomi il respiro. “Martaaaaa aiuto! Aiuto, aiuto, aiuto. Hai visto? Questa volta è la fine!”
Marta appoggiò sul tavolo il coltello con il quale stava tagliando i panini, e mi fissò.
“Ma stai scherzando?” mi chiese.
“No”, le risposi un po’ mesta, “non scherzo. Non so cosa mi sia successo. Non riesco a trattenermi. Mi piace tuo cugino. E’ una follia! Una follia!”
Ripetei il concetto della follia con una certa enfasi per cercare di convincermene, “… e credo che la cosa sia reciproca…”
Poi la fissai negli occhi stringendole il braccio.
“Tu ci credi ai colpi di fulmine? Dimmi, ci credi? Perché sta succedendo, proprio qui, adesso, nel momento più impensato!”.
Marta staccò dito per dito la mia mano che si era arpionata al suo braccio.
“Adesso calmati, però, eh?”
“Marta!” continuai.
“Si, che c’è? Dimmi. Però aiutami con questi panini sennò facciamo troppo tardi.”
Presi un coltello dal cassetto e come un automa iniziai a tagliare e imbottire senza badare troppo a quello che ci mettevo dentro.
“Il problema è”, continuai, “che io sto con Max, no?”
“Si…”
Marta si sforzava di seguirmi.
“E quindi?”.
“Quindi, se Alessandro lo scopre gli si spezzerà il cuore!”
Certo! Non era tanto per me ma per lui. Che delusione. E che imbarazzo. Immaginavo la scena dopo che l’avesse saputo. Sguardi sfuggenti, mezzi sorrisi, aria tesissima. Dovevo evitare tutto ciò. Dirglielo significava rovinare a tutti un fantastico week end. Almeno, a me l’avrebbe rovinato di sicuro.
“Adesso che gli si spezzi il cuore mi sembra un po’ azzardato”.
“Ma lui è single?” la interruppi.
“Sai che non lo so? Se vuoi indago. Ma nel frattempo cerca di trattenerti. Mi sembri pazza, sai? No, non sto scherzando. Guardami.”
La guardai.
“Allora, io sono dalla tua parte ma ti devo avvertire che stai scherzando col fuoco e poi Max questo non se lo merita”.
La cosa mi fulminò. Mi sentii immediatamente un viscido verme strisciante. Eppure, strisciando, strisciando, sentivo una leggerezza al cuore! Che il verme si stesse trasformando in una bellissima farfalla?
Detestavo sentirmi così, con due sentimenti così forti e contrastanti tra loro. C’è da perderci la testa. La soluzione era fare uno sforzo di volontà non indifferente ed io, fino ad allora, non ero stata certo famosa per la mia proverbiale forza di volontà! Sapevo benissimo cos’era giusto fare, ma il pensiero di dover rinunciare mi faceva stare malissimo.
“Magari sbatto in faccia la porta all’uomo della mia vita!” esclamai.
“Se si fa sbattere la porta in faccia vuol dire che non è l’uomo della tua vita”, mi rispose Marta, continuando a preparare il pranzo, senza neanche guardarmi in faccia. Era vero, era assolutamente vero!
“Se è l’uomo giusto non si fermerà davanti a niente!”
Mi feci forte di quel pensiero e decisi di essere coraggiosa. Alla fine la vigliaccheria non paga mai. Poi, chissà, magari si sarebbero scatenate altre dinamiche alla notizia!
“Occhio! Che fai!”
La voce di Marta mi risvegliò da quella specie di stato di trans. Ops… stavo mettendo una presina dentro il panino.
“Ok. Concentriamoci, centriamoci e affrontiamo la realtà”.
Tolsi la presina, riempii il panino con tonno e insalata che non avrei mangiato, lo chiusi, lo misi insieme agli altri e poi dichiarai, “Non sono io che devo fare i salti mortali per conquistarlo, giusto? Deve essere lui!”
“Brava tesoro. Così si fa! Adesso prendi la borsa frigo e muoviamoci che sono già le undici e mezza”.
Anche Marta aveva finito di preparare tutto.
“Ragazzeee? Avete bisogno d’aiuto?” una testa riccioluta bionda fece capolino dalla porta. Elisabetta, detta Bibi perché aveva un’eterna aria fanciullesca, evidentemente si era ricordata che in cucina qualcuno stava lavorando per il bene comune.
“Mi hanno spedita a vedere che succede! Sono tutti lì fuori ad aspettare”.
Intanto che parlava aveva afferrato un finocchio.
“Bibi, molla il finocchio e ritira le tazzine e tutto il resto dal tavolo. Qui è pronto”.
Adoravo Marta quando prendeva in mano la situazione. Sembrava che nessun contrattempo potesse mai accadere sotto la sua giurisdizione.
“Tutto pronto mica tanto”, dissi, “devo ancora preparare la borsa del mare!”
“Addio allora!” e col finocchio in bocca Bibi uscì in giardino.
“Vado eh?” dissi, scattando su per le scale.
Volevo evitare la solita scena pietosa “tutti in piedi con le borse in spalla ad aspettare me con aria vagamente scocciata”. Non lo facevo apposta ad essere in ritardo. C’era sempre qualche contrattempo che mi impediva, all’ultimo, di essere puntuale. Così cercai di fare prima possibile. Dopo circa dieci minuti mi precipitai giù urlando “Eccomi! Scusate! Possiamo andare!”
Mi rispose solo il mio eco, o quasi, perché la casa sembrava vuota. Andai verso il giardino ed era già tutto chiuso. Poi tornai in salone e vidi un biglietto sul tavolino “Noi siamo in barca… Sbrigati!”
Uffa! Che figura. Come al solito. Mi dovevo veramente sbrigare. Chiusi tutto, presi la borsa, il cappello da sole, mi misi gli occhialoni neri “da diva” e uscii.
Che sole! Guardai davanti a me e rimasi incantata, come ogni giorno del resto, dallo spettacolo del mare liscio come una tavola con il sole abbagliante che si rifletteva sulla sua superficie. Che silenzio. Era bellissimo.
“Ok. Andiamo, su!”
Presi le chiavi e mi girai per chiudere la porta d’ingresso.
“Aspetta, aspetta, aspetta!”
Una voce alle mie spalle mi fece sussultare. Poi mi girai di scatto e lo vidi, bellissimo, trafelato e sorridente. Alessandro!
“Oh… Aah… sei tu! Che succede?”
“Dimenticata una borsa frigo”, disse avanzando verso di me “e visto che erano tutti occupati a sistemare le cose in barca mi sono offerto di venire qui a prenderla”.
Si era offerto? Wow. Ero senza fiato. Il mio sesto senso mi stava suggerendo che se al mio posto ci fosse stato qualcun altro, non sarebbe stato così solerte. Ma forse era solo la mia immaginazione.
“Dove sarà?” mi chiese.
Ma perché stava lì in piedi davanti a me, fermo, e non entrava in casa?
“Penso in cucina, no?”, gli risposi, anche io impalata davanti a lui. Feci per entrare in casa.
“Non ti muovere”, mi sussurrò. Poi, allungò la mano verso il mio cappello da sole.
“Che c’è?” gli chiesi un po’ sulle spine.
“Shh… non parlare…”
Ecco, c’eravamo, aiuto! Che voleva fare? Baciarmi? Eh no!
“Ehi!” esclamai.
In quel preciso istante Alessandro, veloce come un fulmine, afferrò un esserino con quattro zampette scalpitanti dalla mia testa e lo scagliò nell’aiola della veranda.
“Ecco fatto”, disse sorridendomi.
“Cos’era?” gli domandai rabbrividendo.
“Un geco”
“Ah che schifo!”, urlai togliendomi di scatto il cappello.
“Grazie”, gli dissi guardandolo fisso. In quel momento, mi mise due dita sotto il mento, mi sollevò un po’ il viso e mi baciò lievemente sulle labbra prima di sorridermi ed entrare in casa, presumibilmente diretto in cucina.
Io ero rimasta lì, come un’idiota. Paralizzata dalla sorpresa, fissando un punto indistinto davanti a me mentre il mio cervello cercava di realizzare quello che era successo.
Mi aveva baciata! A tradimento! Ma come, ma allora… sembrava proprio che io non aspettassi altro? Un fiotto di sangue mi salì su, su, diretto al cervello mentre stava per montarmi un’irritazione insopportabile. Ma come aveva osato? Così!?
Mi scossi, mi rimisi il cappello in testa ed entrai in casa a mia volta, diretta con passo marziale verso la cucina. Avevo già la mano sulla maniglia, pronta a dar battaglia, quando il sapore di quel bacio mi arrivò sulle labbra. A scoppio ritardato. Era stato molto dolce, in effetti. Ripensandoci era stata una cosa molto carina. In fondo, lui che ne sapeva che io non ero disponibile? Ed ora? Che dovevo fare? Non potevo aspettare oltre. Dovevo assolutamente dirgli di Max. Ma come facevo?
Entrai in cucina e lo vidi in giardino. Come mi vide entrare mi urlò “Io inizio ad andare! Ci vediamo lì!”
“Come sarebbe a dire”, pensai, “fugge via?”
Alessandro si dileguò passando per il giardino.
Forse era meglio così. Avrei approfittato della strada per arrivare alla barca per raccogliere tutto il coraggio e pensare a come avrei potuto fare senza ferire nessuno.
Certo, Alessandro era uno sconosciuto, in fondo. Non gli dovevo un bel niente. Però… c’era un però. Mi sentivo come se dovessi lasciare un fidanzato, non come se dovessi rimettere al suo posto uno mai visto né conosciuto. E poi realizzai che in modo totalmente inaspettato, un sentimento, molto, troppo simile all’amore, si stava impadronendo di me. Il panico stava per arrivare sotto forma di tremolio, lo sentivo. Ma che ci potevo fare? Chi può conoscere il suo futuro? Magari Alessandro era l’uomo della mia vita e non me la sentivo di fare un passo falso. Poi mi venne in mente il viso di Max, così familiare, così amato. Ma che mi stava succedendo? Sarei voluta sparire in quell’istante, inghiottita dalla terra e risvegliarmi tra un anno per vedere cosa sarebbe successo. Le tempie iniziavano a pulsare e il caldo… oh, quel caldo stava diventando un fuoco arroventato. Mi ero seduta in cucina. Immersa nei miei contraddittori pensieri avevo perso la cognizione del tempo. Ad un tratto il cellulare che squillava a tutto volume mi fece tornare alla realtà o meglio, alla triste realtà.
Risposi.
“Allora?”
La voce alterata di mio fratello risuonò attraverso il cellulare per tutta la cucina.
“Eccomi, eccomi, c’è stato un contrattempo, non ti puoi immaginare!”
“Cosa? Come?”
Non parlava a me.
“Ah, ok, Alessandro mi ha spiegato tutto. Sbrigati però”. E chiuse il telefono. Inorridii. Ma che cosa si era inventato Alessandro? Non avrà…?
Mi rimisi in piedi, chiusi tutto e mi precipitai verso la barca sotto il sole infuocato del lungomare che a quell’ora era deserto. Arrivata sulla banchina li vidi tutti pronti sulla barca. “Dai!” mi fece mio fratello con tono tra il seccato e l’impaziente, “va bene tutto, capisco le emergenze, ma sei sempre in ritardo! Non è possibile!”
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