UNO

«Carta d’imbarco, per favore.»

  Leni si scosse dai suoi pensieri e si accorse di non averla in mano.

  “L’ho rimessa in borsa, certo” pensò, iniziando a cercarla senza successo. 

  «Mi scusi» disse, cercandola freneticamente sotto lo sguardo inespressivo della hostess, «un secondo solo» mormorò ancora, appoggiando la voluminosa borsa per terra e continuando a cercare.

  Era ancora chinata, quando, con la coda dell’occhio, vide la gamba di un uomo che la stava letteralmente scavalcando.

  «Ehi!» esclamò, senza potersi rialzare, mentre lo sconosciuto, dopo aver consegnato documenti e carta d’imbarco alla hostess, spariva dentro il tunnel che portava all’aereo.

  «Ma che modi» commentò irritata, sperando che l’uomo la sentisse. Poi, finalmente, trovata la carta d’imbarco, entrò a sua volta nell’aereo che l’avrebbe portata a Venezia.

  Le otto ore di volo da New York e le tre ore passate all’aeroporto di Roma in attesa della coincidenza l’avevano distrutta e non vedeva l’ora di arrivare. Cercò con lo sguardo il suo posto e, appena lo trovò, rimase interdetta, scoprendo che le avevano assegnato per errore il sedile centrale. Vicino al finestrino sedeva un’anziana signora con la cintura di sicurezza già saldamente allacciata mentre il passeggero seduto nel posto corridoio stava studiando con attenzione delle carte voluminose e sembrò non accorgersi di lei.

  «Che pasticcio, avevo chiesto il posto corridoio ma al check in devono aver fatto un errore» disse Leni con disinvoltura, sperando che l’uomo le cedesse il suo posto. L’uomo, però, non solo non alzò neanche lo sguardo, ma, quando Leni gli chiese di passare, si slacciò nervosamente la cintura di sicurezza e si alzò senza poter trattenere un sospiro di disappunto.

  Era lui! Era l’uomo che l’aveva scavalcata all’imbarco. Anche se non era riuscita a vederlo bene in viso Leni ne era assolutamente certa.

  «Incredibile» commentò a mezza voce.

Non riusciva a trattenersi dal guardarlo con antipatia mentre lui continuava a studiare con attenzione i fogli voluminosi che aveva in mano. Sembravano dei progetti. Per curiosità, cercò di dare un’occhiata ma l’uomo se ne accorse e li scostò in modo che lei non potesse vedere. 

  “Che essere odioso” pensò tra sé e sé. Infine, decise di ignorare la sua presenza e chiuse gli occhi.

  “Tra poco sarò a Venezia. E pensare che solo due giorni fa ero in ufficio a fissare inutilmente lo schermo del computer.”

  Ripensò per un attimo al viso preoccupato del suo redattore capo al New York Times che le aveva proposto di prendersi una pausa di almeno due mesi. Aveva fatto bene a partire? Una parte di lei avrebbe preferito rimanere a New York in attesa di un miracolo ma l’idea di andare a Venezia l’aveva stregata. Quindi, eccola lì, seduta nello scomodo posto centrale di un affollatissimo volo diretto verso l’ignoto.

  Si addormentò, vinta dal sonno. Quando riaprì gli occhi, l’aereo aveva iniziato la procedura di atterraggio e, poco dopo, toccò terra.

  Caricate le sue pesanti valige su un carrello, si diresse al molo dei taxi. Arrivata nel piazzale, notò con disappunto che c’era un solo motoscafo disponibile. Doveva prenderlo assolutamente e le mancavano solo pochi metri per raggiungerlo. Con uno sforzo disumano, spinse il carrello più velocemente che poté ma una pietra sconnessa frenò la sua corsa. Il carrellò si fermò di botto, tanto che il contraccolpo fece cadere una valigia per terra. 

  «No, accidenti, non adesso» esclamò Leni, colta di sorpresa. Corse a prendere la valigia e, mentre la stava rimettendo faticosamente sulle altre, si accorse che il suo vicino di posto, sbucato da chissà dove, era già a bordo del taxi e stava caricando il suo bagaglio. Leni rimase a bocca aperta, incredula, davanti a tanta maleducazione e mancanza di cavalleria.

  «Questo è veramente troppo!» esclamò sconvolta.

  Lui sollevò la testa e la guardò come se la vedesse per la prima volta. Leni, sull’orlo di una crisi di rabbia e di nervi girò la testa dall’altra parte. 

  «Sale anche lei?» le domandò. 

Salire con lui? Era l’ultimo dei suoi pensieri. Piuttosto sarebbe andata a nuoto. 

  «No, grazie, aspetto il prossimo» gli rispose con astio. Lui fece spallucce e sparì all’interno del taxi che, mollati gli ormeggi, partì.

  Fortunatamente, quasi immediatamente arrivarono altri taxi e, finalmente, Leni poté godersi la traversata che l’avrebbe portata fino alla sua nuova casa.

  Dopo qualche minuto il taxi rallentò la sua corsa. Il conducente parlava concitatamente alla radio. Leni non riusciva a capire che cosa stesse accadendo. 

  «Che succede?» chiese.

Il pilota le indicò un altro taxi in avaria a poca distanza da loro. 

  «Problemi con il motore» le rispose. 

  Nonostante la distanza e nonostante il buio, in piedi sul taxi in avaria, vide una figura familiare che gesticolava animatamente parlando al telefono, probabilmente per cercare aiuto. Un sorriso soddisfatto le illuminò il volto perché l’aveva riconosciuto. Era il suo odioso vicino d’aereo.

  «Gli sta bene» esclamò soddisfatta, lasciandosi andare sul sedile mentre il taxi continuava la sua corsa.

  Venezia era davanti a lei e il buio le donava ancora più fascino. Le luci che si stagliavano all’orizzonte, riflettendosi sull’acqua, erano una visione incantevole. Rimase col fiato sospeso davanti a tanta bellezza.

  «Stiamo per arrivare signorina» l’avvertì il conducente. 

Il motoscafo, che si stava facendo largo tra gli stretti canali, girò improvvisamente sul Canal Grande per poi fermarsi, poco dopo, su un piccolo molo davanti all’antico e silenzioso Palazzo Stolkoff. 

  «Siamo arrivati.»

Il tassista l’aiutò a scendere e mise le valigie vicino al portone. Leni gli pagò la corsa e rimase ferma qualche istante ad osservare il palazzo. Doveva chiamare il portiere per farsi aprire. Prese il cellulare e compose il numero di telefono.

DUE

All’ultimo piano di palazzo Stolkoff, intanto, c’era del movimento. Un movimento invisibile ma molto reale perché palazzo Stolkoff, come molti altri antichi palazzi, era diventato la dimora di alcuni fantasmi la cui morte, tragica e violenta, li teneva legati in qualche modo a quel luogo per l’eternità.    «È arrivato qualcuno!» esclamò… (CONTINUA)

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