“Quella volta che incontrai uno straniero alto e bruno!” –  XIII Puntata – “Si torna a Roma”

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Pomeriggio tardo. Il sole, che ancora resisteva sfolgorante nel cielo, filtrava dalle persiane accostate. Non mi accorgevo neanche del caldo, nonostante che i nostri corpi fossero stretti nella penombra umida ormai da talmente tanto tempo che facevo fatica a ricordare. Ero come in estasi, con gli occhi chiusi, mentre sentivo il suo corpo che aderiva così naturalmente e perfettamente al mio. Impossibile staccarci da quell’abbraccio, impossibile rinunciare ai lunghi e appassionati baci. Sarei rimasta li in eterno.
“Come sei bella amore. Non ti ho mai vista bella come ora.”.
Al suono della sua voce aprii gli occhi e lo guardai incantata. Non mi ero mai sentita così felice in vita mia e poi sentii la mia voce rispondere, “ti amo Francesco” e lo baciai di nuovo a lungo e appassionatamente. D’un tratto Francesco alzò la testa.
“Senti anche tu?”, mi sussurrò, “sembrano campane”.
Cercai di sentire. In effetti c’era un rumore indistinto in lontananza.
“Amore, è bellissimo, senti le campane! Non mi potevi dire una cosa più carina. Ma secondo me è la campanella della scuola qui davanti. Si sente benissimo”.
“Sono le sei del pomeriggio”, osservò Francesco, “strano che suoni a quest’ora”.
In effetti era strano. Eppure stava suonando, eccome se stava suonando. Stava diventando insopportabile.
“Falla smettere!”, lo implorai “basta, basta basta…”.
Mi scoppiava la testa e mi accorsi che parlavo a fatica, non riuscivo ad articolare le parole. E gli occhi! Gli occhi erano come incollati. Feci uno sforzo disumano per aprirli e quando ci riuscii mi ritrovai seduta sul letto, tutta sudata, al buio pesto.
Oddio! Dov’ero? Che giorno era? Francesco? Non mi ricordavo più niente. Poi, piano piano, i miei occhi si abituarono all’oscurità e la realtà si fece largo all’improvviso nella mia mente obnubilata.
Ma certo, ero in camera mia. A Roma. Ma..che ora era? Allungai la mano per prendere la sveglia sul comodino. Non vedevo niente e accesi la luce dell’abat jour. Le nove del mattino. Le nove?? Ma perché sembrava notte fonda? “Non saranno le nove di sera!?”, mi chiesi allarmata. E poi capii. La sera prima avevo messo una coperta incastrata nella finestra perché le persiane facevano passare la luce fin dall’alba col risultato di svegliarmi troppo presto. Beh, aveva funzionato, in effetti, anche troppo bene. Le nove? “Ma allora sono in ritardo mostruoso! Come al solito!” Non avevo neanche messo la sveglia. Ero un’incosciente totale. Alle nove e mezza avevamo una riunione importantissima con il nostro principale cliente e avevo rischiato di andarci in pigiama! Balzai fuori dal letto pronta per correre a prepararmi ma mi bloccai all’improvviso perché il ricordo del sogno appena fatto mi attraversò il cervello a tradimento. Non potei far altro che sedermi di nuovo sul letto, come inebetita, a pensare a quel che era successo. Successo…non era successo niente in effetti…era solo un sogno. Non potevo abbassare la guardia neanche un secondo, evidentemente, che il mio subconscio ne approfittava per mettermi in crisi. Francesco? Ma perché Francesco? Non ci avevo più pensato neanche per un secondo da quando ero tornata a casa…giuro! E va bene, forse due o tre volte sì, ma solo per convincermi ancora meglio che l’uomo della mia vita era Giacomo oltre ogni minimo dubbio. E adesso, quel sogno così vivido. Accidenti! Mi crogiolai ancora qualche minuto in quel sogno e poi l’occhio mi cadde sull’orologio. Le nove e un quarto! Ma allora ero pazza! Avevo solo 15 minuti per far colazione, doccia, truccarmi, vestirmi e fiondarmi in ufficio dando l’idea di una professionista fresca e riposata che ha la situazione completamente sotto controllo! Facile no?

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