“Che aria pesante si respirava là dentro” pensò Leni, riassaporando il piacere di camminare all’aria aperta. “Certo che il palazzo è veramente in condizioni disastrose…”
Ripensò all’incidente nella camera del baldacchino, che avrebbe potuto avere anche delle conseguenze peggiori, e rivide il viso di Francesco vicino al suo. Per un attimo rimase sovrappensiero pensando a lui. Il suo comportamento all’aeroporto era stato pessimo e non aveva scusanti, tuttavia, sì, le aveva salvato la vita! La cosa importante però, era che da quel momento avrebbe avuto facile accesso a palazzo Veronese.
Dopo essersi rinchiuso il portone alle spalle, Francesco rimase un po’ sovrappensiero. Il soffitto franato non era che l’ultimo di una lunga serie di colpi di sfortuna ma, ripensando a quell’incontro fuori programma, non riusciva a trattenere un sorriso che, del tutto inaspettatamente, gli si era appiccicato sul viso e non riusciva a cancellare. Con sua grande sorpresa constatò che, seppure per poco, si era quasi dimenticato della marea di problemi che gli erano cascati addosso negli ultimi mesi.
Quel palazzo di famiglia, dimenticato da tanti anni, era tornato prepotentemente presente, tanto che ogni singolo aspetto della sua vita, sembrava gravitasse intorno ad esso. Tutte le leggende sui fantasmi del palazzo che aveva sentito raccontare quando era piccolo e che a quel tempo lo affascinavano così tanto, erano diventate oggi ingombranti fardelli che costituivano un grave ostacolo alla sua salvezza. Ripristinare il palazzo di famiglia e farlo fruttare costituiva per Francesco l’unica via per uscire dal ginepraio dove si era ritrovato, suo malgrado. Non aveva tempo per pensare a nient’altro che alla piena riabilitazione del palazzo che portava il suo nome. Quella era la sua maggiore occupazione. Il resto del tempo lo passava al telefono con avvocati, architetti, imprese di ristrutturazione e la sua ex moglie, mai stata così incombente nella sua vita come allora. Quella sì era una vera maledizione!
La strana sensazione di malessere che Leni aveva provato poco prima era totalmente svanita, tanto che non aveva più voglia di tornare a casa. Le era venuta una certa fame e si fermò al primo cafè carino che incontrò. Si sedette ad un tavolino e, dopo aver ordinato da mangiare, tirò fuori la mappa per vedere dove fosse finita.
“Allora, vediamo, questo dovrebbe essere il quartiere Dorsoduro, qui c’è palazzo Veronese e io dovrei essere più o meno qui…”
«Ecco il suo tramezzino» la interruppe il cameriere, «e qui c’è la sua spremuta d’arancia. In tutto sono dieci euro.»
Leni prese il portafoglio e pagò.
Il cameriere prese i soldi e fece per andarsene.
«Mi scusi, aspetti un attimo, mi saprebbe dire dove si trova questo palazzo?»
Leni mostrò al cameriere la guida turistica.
«Palazzo Corsetti, certo.»
«È lontano da qui? Non riesco a trovarlo sulla mappa.»
«È facilissimo, da qui sono circa cinque minuti» rispose il cameriere, iniziando a darle le indicazioni.
«…Alla fine si troverà in un campiello. Non si può sbagliare, la porta del palazzo è rossa.»
Leni segnò la strada sulla mappa poi si rilassò al sole ancora qualche minuto. La guida non diceva molto di palazzo Corsetti se non che il fantasma di una donna si aggirava tristemente tra le sue stanze.
«Sono molto preoccupato per questa ragazza» commentò Casanova, osservandola.
Malvina ed Adriano si guardarono. Avevano già intuito che l’arrivo di Leni avrebbe portato un certo scompiglio. Sentivano che un pericolo sconosciuto aleggiava su di lei, e, di riflesso anche su di loro, specialmente su Casanova che non riusciva a starle lontano.
«Che altro ci può succedere infine? Morti, siamo già morti!» commentò sarcasticamente Adriano.
«Bella battuta, c’è proprio da morir dal ridere!» gli fece eco Malvina.
«C’è di peggio della morte, lo dovreste sapere bene. Io vado con lei» concluse Casanova, allontanandosi dai suoi compagni di sventura per seguire Leni che si era immersa nuovamente tra le calli.
Copyright © 2016 Lisa Carboni
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