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«Cosa fa, mi segue?» esordì l’uomo, avvicinandosi.
Leni arrossì di rabbia e con uno strattone si liberò dalla stretta del custode.
«Figuriamoci» rispose con astio.
«E allora, cosa fa a casa mia?»
«Io… beh… Casa sua?»
Leni era stupita.
«Si è introdotta con la forza. Vuole affittare la casa. Così ha detto» intervenne Sebastiano.
«Si, esatto» si riprese Leni, «in realtà non è per me ma per dei miei amici. Mi hanno chiesto di informarmi e quindi sono venuta di persona. Soddisfatto?»
«La casa non è in vendita né tanto meno in affitto visto che ci vivo io.»
«Mi avevano detto che i proprietari non vengono da tanti anni e che c’era solo un custode. Lei sarebbe il proprietario?»
«Io sono il proprietario» ribatté secco l’uomo, avanzando verso di lei.
«Permetta che mi presenti, sono Francesco Veronese.»
«Eleanor Stuart.»
I due si strinsero le mani che rimasero strette qualche secondo in più del necessario.
«Beh, piacere» disse Leni ritirando di scatto la mano. Detestava sentirsi in imbarazzo ma doveva ammettere che lo era. Quell’uomo, che adesso aveva un nome e un’identità, aveva il potere di metterla in soggezione. Cercò subito di liberarsi da quella spiacevole sensazione e di tornare presente a se stessa. Che lui fosse il proprietario poteva anche essere una fortuna insperata. Forse sarebbe riuscita ad avere tutte le informazioni che desiderava. Si sforzò di essere gentile.
«Piacere mio» le rispose Francesco.
Leni sfoderò uno dei suoi sorrisi più affascinanti.
«Che coincidenza» disse con aria tranquilla e simpatica, «spero che la sua piccola disavventura col taxi sia poi finita bene.»
Non aveva resistito a lanciargli quella piccola frecciata.
«E pensare che sarebbe potuto toccare a me se solo fossi stata più veloce. Eh, alle volte…» aggiunse, con candida perfidia.
Francesco incassò il colpo con simulata noncuranza.
«Già, che sfortuna. Il motoscafo ha avuto un guasto. Quindi, lei ha visto la scena?»
«Esatto» rispose Leni con un sorrisetto ironico, «nei minimi dettagli. Comunque, tutto è bene quel che finisce bene, no?»
«Diciamo che ieri non è stata la mia giornata fortunata, mettiamola così.»
«E adesso ci ritroviamo qui, a casa sua. È stupefacente.»
«A dir poco.»
Silenzio.
Francesco non riusciva a capire dove Leni volesse arrivare. Leni intanto stava pensando a un modo per poter dare un’occhiata in giro. Doveva inventarsi qualcosa, anche a costo di apparire invadente. Fece qualche passo verso i mobili visibilmente pieni di polvere e passò un dito sul bracciolo di una poltrona.
«Non abita qui da molto immagino» osservò, sfregandosi i polpastrelli delle dita che si erano sporcati di nero.
«Impossibile negarlo. Lo stato degli arredi parla da solo.»
«Ha deciso di trasferirsi qui?» chiese lei, sempre con uno smagliante e amichevole sorriso.
«Non so cosa gliene possa importare» rispose lui, aggressivo.
«Curiosità. Curiosità e disappunto» rispose svelta Leni, «i miei amici ci rimarranno terribilmente male.»
«E va bene. Per chiudere la questione le dico che ho intenzione di trasformare questo palazzo in un bed & breakfast di lusso. La mia famiglia vive in America. Sono tantissimi anni che nessuno viene qui e io ho deciso di fare un business col palazzo degli avi. Credo sia una buona idea. I suoi amici se ne faranno una ragione.»
«Oh, capisco. Crede che la gente vorrà dormire qui nonostante… voglio dire, lei sa cosa si dice del palazzo? I miei amici, fortunatamente, sono persone molto razionali che a queste dicerie non danno alcun peso ma non sono tutti così. Non pensa che la brutta fama del palazzo possa in qualche modo rovinare il suo progetto?»
Le parole di Leni ebbero l’effetto desiderato. Francesco arrossì violentemente e finalmente si scosse dall’ antipatica flemma e dall’altrettanto antipatica aria di superiorità che aveva avuto fino a quel momento. Iniziò a bofonchiare qualcosa di incomprensibile poi a fatica si riprese.
«Non so di cosa stia parlando» rispose alla fine, glaciale.
«Ma degli spiriti che infestano questo palazzo, naturalmente! Lo sanno tutti. Ne parlano perfino le guide turistiche.»
Leni era decisa a provocare Francesco e lo faceva con un certo gusto.
«Senta, qui non c’è alcun fantasma, sono tutte fandonie e invenzioni. Le proibisco di…»
Un boato spaventoso e improvviso fece sussultare Francesco e Leni che si guardarono istintivamente con apprensione e aria interrogativa.
«Ma cos’è stato?» chiese Leni leggermente scossa. Un improvviso colpo di vento aveva fatto chiudere con violenza il portone d’ingresso che era rimasto aperto.
«Quindi i fantasmi non ci sono eh? Se lo dice lei» concluse, approfittando della coincidenza per continuare a infierire.
Francesco, visibilmente seccato dall’accaduto, diede dei secchi ordini a Sebastiano perché chiudesse bene porte e finestre.
«Ci sono mille correnti in questi palazzi antichi. I fantasmi non esistono. E adesso, se mi vuole scusare, sono molto impegnato e la devo salutare.»
«Molto bene. Allora vado. Volevo solo dirle che sono una giornalista e mi occupo di viaggi e turismo. Penso che i miei lettori sul New York Times saranno molto interessati quando leggeranno le mie impressioni sul suo palazzo. Addio e auguri per tutto» concluse poi, dirigendosi con passo deciso verso l’uscita.
«Le ho detto che qui non ci sono fantasmi» replicò scosso Francesco.
«Certo! Addio» replicò Leni, quasi arrivata all’uscita.
Francesco, velocissimo, la superò e si mise tra lei e il portone.
«Se non ci crede, posso farle fare un giro del palazzo e se ne renderà conto da sola.»
«Non saprei, adesso non ho molto tempo.»
Leni, soddisfatta di sé, giocava con lui come il gatto col topo.
«Non ci vorrà molto, la prego» le chiese Francesco con un tono decisamente conciliante.
«In questo caso, se insiste, facciamo questo giro.»
«Ottimo.»
«Vuole che me ne occupi io signore?»
Sebastiano, con il suo ghigno sardonico, si era fatto avanti.
«Oh mio Dio, no!» pensò Leni, per niente contenta della prospettiva. Sentiva ancora sul braccio la stretta di prima. Per fortuna, Francesco volle occuparsi personalmente di tutelare il buon nome del suo palazzo. Così, congedato il domestico, si dedicò completamente a lei.

Casanova, che era rimasto in attesa di Leni vicino al palazzo, si rendeva conto che più i minuti passavano, più si risvegliavano le energie maligne richiamate dalla sua presenza. Il cielo iniziava a scurirsi e il vento a rinforzarsi, tuttavia, non riusciva ad andare via lasciando Leni da sola a Palazzo Veronese e sperava che uscisse da un momento all’altro.
«La mia famiglia si è stabilita a Venezia nel 1465. Proveniva da Verona, come si intuisce dal cognome.»
Francesco aveva mantenuto la parola e stava mostrando a Leni il palazzo.
«Ecco» disse, arrivato in cima alle scale, «direi di partire dall’ultimo piano e scendere. Si renderà conto che, a parte molta polvere, muri scrostati e un po’ ammuffiti e qualche ragnatela, non troverà niente di terribile.»
«Vedremo» rispose Leni.
Francesco le lanciò un’occhiataccia e poi continuò.
«Il palazzo è stato costruito da Cosimo Veronese nella seconda metà del Cinquecento. Era un mercante che aveva viaggiato in tutto il mondo allora conosciuto. Comprò il titolo nobiliare grazie alla fortuna accumulata e volle che il suo palazzo fosse degno della fama e del successo che aveva raggiunto.»
Mentre Francesco parlava, Leni lo osservava attentamente, cercando di farsi un’idea più precisa di lui. Raccontando la storia della sua famiglia, l’espressione burbera andava via via scomparendo dal suo volto donandogli, invece, un’aria quasi simpatica.
«Le soffitte erano di suo gradimento?» chiese Francesco.
Leni sussultò.
«Oh sì, certo» rispose automaticamente. Non doveva distrarsi.
Stavano scendendo al secondo piano.
«Certo, non posso negare che nei secoli passati ci siano stati degli episodi di violenza tra queste mura, ma il passato è passato» diceva Francesco, conducendo Leni attraverso un corridoio pieno di ritratti di antenati che sembravano fissarli arcignamente dalle pareti. Leni aveva la bizzarra impressione di essere osservata con malevolenza.
«I suoi antenati erano tutti così?» chiese d’impulso, avvertendo una sempre crescente sensazione di fastidio.
«Così come?» chiese Francesco.
«Beh, così antipatici e arcigni, un po’ come lei…»
Si interruppe immediatamente. Ma cosa stava dicendo? Francesco Veronese le stava cordialmente antipatico ma Leni non era mai stata maleducata in vita sua. Tuttavia, aveva un’irrefrenabile voglia di dirgli cosa pensasse di lui e le risultava impossibile trattenersi.
“Torna subito in te!” ordinò a se stessa.
«Evviva la sincerità!» rispose Francesco, sorpreso per tanta franchezza.
Leni arrossì suo malgrado.
«L’ho capito, sa, di non esserle per niente simpatico. È da quando mi sono seduto vicino a lei in aereo che mi guarda con ostilità. Anche adesso ha un’espressione inequivocabile.»
«Mi spiace, non volevo essere sgarbata ma è quello che penso.»
Francesco era quasi divertito.
«Faccia attenzione adesso, perché in alcune stanze può cadere dell’intonaco dal soffitto» disse poi, entrando in una sontuosa camera da letto la cui particolarità erano gli stucchi violacei che caratterizzavano tutto l’arredamento.
«Questa è la camera viola, riservata agli ospiti di un certo rango» spiegò.

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